29 agosto 2019

Cittadinanza attiva o passiva... di Ivan Cavicchi

Cittadinanzattiva o “passiva”? I miei dubbi sul ruolo e il modus operandi di questa associazione

Se dovessi definire il ruolo di “Cittadinanzattiva” rispetto non solo ai suoi report sulla sanità ma alla sua presenza nel dibattito sanitario, direi che essa è una specie di ausiliario del traffico o “vigilino” quello che, soprattutto rispetto allo status quo di un sistema complesso, accerta le piccole violazioni

I più vecchi non li ricordo, ma quelli più recenti sì e comunque me li sono andati a riguardare, scoprendo che:
· più o meno dicono sempre le stesse cose,
· descrivono la micro disfunzionalità in alcuni settori della sanità, ecc,
· ripropongono uno schema di problemi abbastanza fisso: tempi di attesa, ticket, diseguaglianze, finanziamenti, farmaci, screening, assistenza territoriale, ospedaliera, ecc.

Le proposte che chiudono questi report, rispetto ai tanti problemi in essi elencati ma anche a quelli taciuti, alla fine si riducono al risibile, come quando la soluzione è meno del problema da risolvere quindi sotto-determinata.


  
Ecco quanto dichiara il responsabile della sanità a proposito del recente report:

“Se da una parte si potrebbe pensare ad una eventuale nuova riforma Costituzionale che parta dal basso, dall’altra è doveroso capire subito se e cosa si può mettere in campo oggi, a normativa vigente, per intervenire su situazioni di iniquità che esistono nel Ssn. In altre parole serve subito un programma di azione”.

In attesa di una “riforma costituzionale dal basso” (sic!) cosa propone il programma di azione? Monitoraggi, rappresentanti di cittadini nella Commissione Lea; aggiornamento degli indicatori, norme sui ticket, ecc.

Cioè nei confronti delle grandi batoste che si prende la sanità, praticamente niente, bagatelle nulla di più.

Ausiliari del traffico  
Se dovessi definire il ruolo di “Cittadinanzattiva” rispetto non solo ai suoi report ma alla sua presenza nel dibattito, direi che essa è una specie di ausiliario del traffico o “vigilino” quello che, soprattutto rispetto allo status quo di un sistema complesso, accerta le piccole violazioni.
In una situazione quasi entropica nella quale i diritti sono sempre più dissipati eil sistema sanitario peggiora tutti i giorni, la vocazione di Cittadinanzattiva, è evidente, non è riformare niente, meno che mai contrastare i processi contro-riformatori in corso, ma, come vedremo, è quella di implementare il proprio statuto assicurando, a chiunque ne abbia bisogno, la biblica “foglia di fico” per coprire, diceva mia nonna, le “vergogne”.

La foglia di fico serve a chiunque (istituzioni, sindacati, ecc.) voglia dare, ai propri interessi, una parvenza di democraticità, quanto basta da poter dire di aver coinvolto i cittadini ma dove i cittadini non sono quelli che incontriamo per strada ma solo una loro astrazione giuridica.
Tanto Cittadinanzattiva non mette in imbarazzo nessuno.

Vi chiederete come mai questa tirata proprio ora e non prima.

A un certo punto succede, come è accaduto a me, che ci si accorge che, “Cittadinanzattiva” con i suoi report annuali:
· ci racconta alcune storie ma non tutte,
· ci offre tanti dati ma non quelli davvero utili a capire lo stato reale delle cose,
· tace sulle grandi questioni,
· ci parla di problemi che  per quanto importanti siano, risultano  sempre molto secondari.

Si entra così in crisi, e si comincia a guardare a “Cittadinanzattiva” in un modo diverso scoprendo con delusione che i suoi rapporti, le sue attività pubbliche, le sue dichiarazioni, i suoi documenti alla fine sono null’altro che confabulazione.

Oggi la sanità “a condizioni non impedite” rischia di morire, di trasformarsi in altro, di essere per gran parte privatizzata, di immiserirsi per favorire la grande speculazione finanziaria.

Coloro che dicono di rappresentare i cittadini, quindi non solo Cittadinanzattiva, ma anche i sindacati dei pensionati, (secondo me rispetto a “Cittadinanzattiva” i veri rappresentanti dei cittadini), le associazioni dei consumatori, e altri generi di associazioni, ci devono dire da che parte stanno. Cioè chiarirci se vogliono concorrere alla formazione di un movimento di opinione contro la grande resezione chirurgica tesa a ridurre, come se fosse un cancro, il diritto all’universalismo.
Il chiarimento si rende necessario perché oggi chi asseconda consapevolmente fini anti-sociali tradisce la socialità che dice di voler rappresentare.

Appelli andati a vuoto
Da parte mia, proprio sul terreno della denuncia, in questi anni, ho cercato aiuto e sostegno presso Cittadinanzattiva, sollecitandola anche su questo giornale, in diverse circostanze:
· sulla necessità di mettere mano ad una progetto di riforma  per riformare quello che non abbiamo mai riformato partendo proprio dai cittadini,
· sulla legge per la responsabilità professionale cioè sull’urgenza etica di proteggere il cittadino dalle manovre previste per ridurre il contenzioso legale,
· sul ritorno delle mutue e delle assicurazioni  a danno soprattutto dei cittadini più deboli,
· sulla legge dei vaccini (non sui vaccini in quanto tali) quindi sui rischi di compromettere  un’alleanza terapeutica tra medici e cittadini,
· sulla necessità di ripensare la medicina  partendo proprio dai mutamenti ontologici e sociali dei cittadini.

Sono tutte questioni che chiamano in causa i vincoli di appartenenza dei cittadini a uno Stato in ragione dei diritti di cui godono, quindi la condizione di cittadinanza che Cittadinanzattiva dice di rappresentare.

Ma tutti i miei appelli sono andati a vuoto e con l’aiuto di qualche sms e di qualche chiacchierata informale con qualche amico, mi è stato fatto capire che per inseguire le mie smanie di riforma, per quanto affascinanti, Cittadinanzattiva non intende mettere a rischio, in ragione dei propri legittimi interessi, un sistema di relazioni con la politica, con le istituzioni, con le imprese farmaceutiche.

Cittadinanzattiva costa, le persone da pagare sono molte e le sedi di cui pagare l’affitto pure.

Vorrei ricordare che Cittadinanzattiva è giuridicamente una onlus e che l’art. 29 del suo statuto (patrimonio ed entrate) prevede la legittimità di contributi pubblici e privati e di introiti relativi alla sua attività.

Cittadinanza passiva
Ma nel momento in cui Cittadinanzattiva tace sui processi contro-riformatori in atto essa tradisce il suo mandato statutario diventando “cittadinanza passiva”.

Vorrei ricordare anche che nel suo statuto, aggiornato con l’ultimo congresso (2016), all’art. 1 si parla di “potere di tutela” finalizzato alla difesa dei diritti e che oggi il diritto alla salute è morente.

Cittadinanzattivaè nata per tutelare i diritti delle persone ma la tutela reale che essa esprime, per quel che si vede, è rivolta agli interessi diversi che ruotano intorno ai diritti e che essa crede di presidiare con qualche report.

Il problema di Cittadinanzattiva che vedo è quindi la forte asimmetria tra i suoi scopi e i mezzi dei quali ha bisogno per esistere.

Se la sua strategia, da statuto, vale come una configurazione ebbene secondo me in essa c’è:
· una mancanza di corrispondenza tra obiettivi dichiarati e prassi agite,
· una sproporzione fra le dimensioni formali e quelle sostanziali del suo agire pubblico.

La questione, nella più ampia legalità sia chiaro, è soprattutto politica e morale.

Essa per prima cosa riguarda tutti quei cittadini che sono impegnati come tali in questo “movimento” e che rischiano di diventare, loro malgrado, una garanzia strumentale.

Conosco tante persone per bene diCittadinanzattiva, che lavorano in modo disinteressato nei territori, e con alcune di esse ho importanti rapporti di stima di amicizia e di complicità. Conosco tante esperienze importanti a livello regionale e poi non bisogna dimenticare che migliaia di cittadini si rivolgono a Cittadinanzattiva come ad uno sportello in cerca di aiuto. Per cui mi è chiaro il suo grande valore sociale.

Tuttavia va detto che tutta questa gente, in realtà, non aderisce al movimento per sfornare report con lo stampino, ma per adempiere pienamente all’art. 1 del loro statuto altrimenti la loro militanza risulterebbe svuotata di senso.

Cosa è la confabulazione?
Ho detto prima che i report di Cittadinanzattiva sono forme di confabulazione. Ma che cosa è la confabulazione?

E’ quando:
· non ci raccontano le cose che veramente accadono,
· ci raccontano di quello che accade solo ciò che fa comodo raccontare.

La confabulazione, per gli psichiatri, è un sintomo che rientra in quelle malattie che colpiscono la memoria e producono amnesie (sindrome di Korsakoff).

In queste malattie i malati sono convinti di raccontare storie vere anche se inventate, nel loro caso infatti mancano i due elementi costitutivi della menzogna vale a dire:
· l’intenzione di ingannare,
· il sapere come stanno veramente le cose.

Per i tanti e diversi confabulatori della sanità in genere le cose sono diverse:
· sanno di ingannare,
· perché sanno come stanno le cose.

Il loro inganno non è quindi:
· l’autoinganno (come lo chiamano i cognitivisti) cioè irrazionalità motivata,come quando ad esempio, ci si illude di qualcosa (il sindacato pensa di riuscire a rinnovare i contratti, i medici convinti che la loro crisi sia passeggera, o gli infermieri che sognano di diventare davvero delle figure intellettuali),
· è inganno e basta cioè il ricorso ad una razionalità motivata ma dagli interessi  che informalmente i confabulatori  perseguono.

Dubbi
I dubbi come si può immaginare nel caso delle attività di Cittadinanzattiva in sanità in questi anni non sono mai mancati e questo è anche testimoniato da numerose defezioni che nel tempo sono avvenute da parte di alcuni suoi militanti, alcuni dei quali hanno persino messo in piedi associazioni, soprattutto locali, addirittura concorrenti.

Ad avanzare dubbi sulle attività di Cittadinanzattiva, in occasione di una controversia legata al suo inserimento tra le associazioni facenti parte del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (che non ci interessa trattare), è stato addirittura il Tar del Lazio che, nel 2007, si interrogò sul confine che passa tra attività di informazione e attività di promozione.

In quella circostanza il Tar nella sua sentenza parlò di “sostanziosi contributi” che Cittadinanzattiva avrebbe preso, dalle case farmaceutiche, al punto da rendere “non avventato il dubbio” che più che di campagne informative si trattasse di vere e proprie campagne promozionali.

Il principio, “in punta di diritto”, sul quale in quella occasione il Tar si soffermò fu il seguente: “è inibito alle associazioni, che assumono di agire a tutela del consumatore, di accettare somme di denaro, a qualsiasi titolo e in via diretta o indiretta da parte di imprese che dalle campagne asseritamente informative da esse svolte, concordate o non, ricevono un vantaggio economico per effetto della credibilità e della pubblicità che, normalmente, accompagnano i messaggi delle suddette associazioni”.

Se dovessimo prendere per buona la sentenza del Tar (che all’epoca accolse il ricorso presentato dal Codacons e da Adusbef che chiedevano la cancellazione di Cittadinanzattiva dal Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti  per l’anno 2002 – 2003), l’art. 29 dello statuto di Cittadinanzattiva sarebbe da riscrivere e la onlus da reinterpretare.

Il dubbio alla fine, a parte il Tar (in proposito è bene sottolineare che attualmente Cittadinanzattiva è regolarmente compresa nell'elenco delle associazioni del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti stabilito dal Dpcm del 10 luglio 2015), è che chi rappresenta i cittadini dovrebbe essere vincolato al disinteresse alla autonomia e al rispetto scrupoloso del conflitto di interesse anche se nello stesso tempo non può permetterselo, a meno di autofinanziarsi con i contributi degli stessi cittadini.
Esattamente come un sindacato.

La raccolta differenziata della realtà sanitaria
L’idea secondo la quale allo struzzo basterebbe nascondere la testa nella sabbia per non essere visti dai suoi nemici, è un paradosso logico. Chiudere gli occhi non esclude che gli altri possano vederti.

E’ talmente un paradosso logico che essa è null’altro che una diceria tanto infondata quanto offensiva, nei confronti dell’intelligenza mimetica dello struzzo che, secondo gli ornitologi, sarebbe notevole.

Ma il paradosso, passando dalla savana alla sanità, in realtà è del tutto apparente nel senso che “non vedere per non far vedere” è addirittura una strategia con lo scopo preciso di nasconderci la conoscenza della realtà ed ingannarci.

In sanità vi sono rispettabili e accreditati soggetti di ricerca, sociali, accademici, professionali il cui vero lavoro è non far vedere quello che tutti dovrebbero vedere. Costoro hanno il compito di distinguere, dietro compenso e quindi per conto di un committente, le realtà ammissibili da quelle inammissibili.

In questo ambito rientrano tutti coloro che fanno ricerche finanziate dalle assicurazioni per dimostrare che milioni di cittadini sono abbandonati, che vi è una incredibile spesa privata, che le liste di attesa sono delle ingiustizie insopportabili, ma con lo scopo non di migliorare la sanità pubblica ma solo per spingere il pedale della sua privatizzazione.

Tutti costoro non vanno confusi con i “persuasori occulti” di Packard, o con quelli che vengono a casa per venderci l’aspirapolvere e neanche con i mercenari, anche se quando penso a certi economisti che conosco, alcuni di essi, lo sono.

Essi, più simili ai netturbini, sono specializzati nella raccolta differenziata della realtà cioè nel decidere rispetto alla conoscenza pubblica come raccoglierla e come riciclarla.

Vorrei ricordare che la raccolta differenziata è un sistema di raccolta dei rifiuti che consente di raggrupparli in base alla loro tipologia materiale, compresa la frazione organica umida, e di destinarli al riciclaggio, e quindi al riutilizzo di materia prima.

Oltre l’oscurantismo
L’uso della raccolta differenziata della realtà sanitaria serve soprattutto alla politica per far vedere e nello stesso tempo nascondere. Essa a mio parere, è qualcosa di più terribile dell’oscurantismo cioè del tenere all’oscuro per mantenere l’ignoranza.

La raccolta differenziata della realtà ha lo scopo di:
· impedire che nei cittadini  il loro giudizio sia tale,
· di ingannarne l’autonomia,
· impedire gli effetti sociali soprattutto del dissenso.

L’uso della raccolta differenziata in sanità è molto diffuso.

Essa è usata da chi:
· assoldato dalla grande speculazione finanziaria, vuole convincerci che 35 miliardi di out of pocket sono una libera scelta dei cittadini, cioè un  opzione sociale, e non un super ticket che  paghiamo a causa della regressività scientemente indotta su un sistema de-finanziato,
· da coloro che con fiumi di denaro hanno finanziato convegni, ricerche, media, società scientifiche  per far passare l’idea del sistema multi-pilastro,
· ci propone  il de-finanziamento come un obbligo morale alla sostenibilità  in luogo di ben altri obblighi morali,
· con la scusa della responsabilità professionale non si sono curati di salvaguardare la relazione con il cittadino,
· tratta i nostri medici come “lavori in pelle” cioè come i replicanti della loro professione  (omaggio al film Blade Runner).

Conclusioni
Altri, e non nelle savane, sono quindi coloro che in malafede nascondono la testa nella sabbia.

Incaricati sempre da qualcuno costoro attendono con diligenza sia ai problemi del traffico denunciando piccole infrazioni sia a quelli della raccolta differenziata ricevendo lauti compensi che servono a finanziare quindi a perpetuare le loro sempre più pesanti organizzazioni.

Da costoro mi dissocio. Allo struzzo ingiustamente calunniato, la mia solidarietà

Ivan Cavicchi 

29 agosto 2018

CVA SPA VERSO QUALE FUTURO?

Quale ruolo affidare a Cva per i prossimi anni?  da La Stampa del 28/8/2018

Quale ruolo affidare a Cva per i prossimi anni? «Partecipare a una gara di Formula 1 con il freno a mano tirato». È questa la metafora che è stata usata dai vertici di Cva per sostenere la quotazione in borsa, di cui si parla da tempo, e che determinerebbe la trasformazione della «nostra» azienda energetica in una società per azioni a «partecipazione» pubblica dedita al profitto come le altre. Una immagine efficace. Addirittura ragionevole se si pensa che viene da chi ha il compito istituzionale di attuare, nei limiti delle proprie competenze e culture, gli obiettivi industriali che la proprietà gli ha affidato. Mi sarei stupito se Cantamessa e Di Girolamo avessero prospettato qualcosa di diverso, di maggiormente innovativo, di fantasioso. La politica ha una compito diverso: immaginare il futuro non come semplice adattamento al presente ma come cambiamento della realtà nell'interesse generale. Anche nella Formula 1, a più riprese, chi ha avuto la responsabilità di decidere (la Fia, non i piloti né le case automobilistiche) hanno cambiato le regole del gioco riducendo, ad esempio, la potenza dei motori e le velocità massime. Il tema, quindi, non è come si sta nel «mercato», ma quale ruolo e quale compito affidiamo a Cva per i prossimi anni. È questa la decisione che ha bisogno di un dibattito politico vero e del consenso dei cittadini. Tutti gli esperti sono d'accordo nel ritenere che la sfida mondiale del futuro sarà quella per l'energia rinnovabile. Una sfida che determinerà le chance di benessere e di sviluppo, più o meno equo e sostenibile, di miliardi di persone, noi compresi. Cva rappresenta uno strumento irrinunciabile per affrontarla e per determinare un modello economico che sia consono alle nostre peculiarità, al senso primario della nostra autonomia e al bene comune della nostra comunità. Quotarla in borsa significa privarsi di questo strumento fondamentale, relegarlo alla logica consolidata, e spesso fallimentare, del mercato e dell'interesse del- l'azionista (non di tutti i cittadini) . Lo stiamo vedendo, tragicamente, in molti settori e in molti (troppi) fatti di cronaca. Laddove ci sono interessi pubblici, beni comuni, servizi essenziali il mercato, anche regolato, non è in grado di produrre efficienza e qualità. Rimane subordinato al profitto, produce diseguaglianze e sprechi, corruzione e scarsa qualità. A volte anche drammi nazionali e scandali indegni di un paese civile. Non è una critica al mercato in sé. Non vale per tutto. Vale per quei settori in cui al centro c'è un bene pubblico e un interesse generale. E' questo il caso dell'energia invaile d'Aosta. Per salvaguardare concretamente il bene «acqua», per garantire la stabilità e la coerenza di Cva con il nostro territorio, per avere sotto il pieno controllo pubblico la vera (e unica) leva economica del futuro per la nostra regione occorre trovare un'altra strada. Certo... capisco l'obiezione che può albergare nella testa di molti. «Se il "privato" non sta bene nemmeno il "pubblico" può vantare grandi successi (leggasi Casinò)». Vero. Verissimo. Ecco perché una gestione pubblica di Cva non può essere delegata a «questo» modello di amministrazione regionale. Occorre una riforma che valorizzi le competenze e la professionalità del management, elimini l'influenza della politica nella gestione, ad esempio affidando ad un organismo terzo la scelta dei vertici sulla base di un piano strategico, rafforzi la trasparenza e gli organismi di controllo con una legge apposita ed esalti, invece, la capacità delle istituzioni di fissare obiettivi e progettualità della propria controllata. In Europa, e nel mondo, molti stanno sperimentando nuove formule e nuove idee in questa direzione con lo scopo di investire su una nuovo ruolo del «pubblico» e uscire dalla crisi economica. Basta leggere qualche libro di una delle migliori economiste del panorama europeo come Mariana Mazzucato per darsi un orizzonte. Perché, in Valle d'Aosta, dovremmo essere da me- no? Perché rinunciare? 
FABIO PROTASONI 
Aosta

14 agosto 2018

RIFIUTI VDA; LE SCELTE CONFERMATE DALLA NUOVA GIUNTA SARANNO A CARICO DEI CITTADINI PER I PROSSIMI 17 ANNI - LE CONSIDERAZIONI AL RIGUARDO DI FABRIZIO ROSCIO

Valle Virtuosa: rifiuti, scelte  politiche che i valdostani pagheranno caro.

Per Valle Virtuosa sui rifiuti «governo nuovo ma vecchia politica e a pagare il  conto saranno i valdostani». L'associazione punta i riflettori sull'esaurimento della discarica di Brissogne. sui ritardi per la realizzazione dell'impianto di trattamento del rifiuti e punta il dito contro l'affidamento della sua realizzazione a una Associazione Temporanea di Imprese «che potrà recuperare gli investimenti sostenuti gestendo in regime di monopolio per 17 anni tutti i rifiuti valdostani». 

«La scelta - riportano - è stata adottata, secondo quanto ci ha riportato l'assessore, perché siamo in emergenza e non abbiamo né il tempo né il danaro per utilizzare soluzioni gestionali economicamente più vantaggiose per gli utenti». 

Per Valle Virtuosa «con il "project financing" saranno gli utenti valdostani ad accollarsi oltre ai costi del servizio, i costi finanziari, nonchè i costi di progettazione e di costruzione ed i costi per garantire i profitti dell'Associazione Temporanea di Imprese che si aggiudicherà la gara di appalto». 


Quale maggioranza del cambiamento? L'associazione stigmatizza la decisione: «la "maggioranza del cambiamento" uscita dalle ultime elezioni avrebbe avuto l'opportunità di scegliere un sistema gestionale più efficiente e vantaggioso per gli utenti proponendo, oltre alla gestione pubblica, di unificare gli attuali 5 Sub-ATO in un unico ente che effettui in tutta la regione la raccolta porta a porta dell'organico e dell'indifferenziato, ma non ha avuto il coraggio di apportare alcuna modifica a quanto stabilito dalle precedenti amministrazioni». 

«Abrogare precedenti delibere di giunta regionale è una precisa scelta politica che comporta una visione strategica propria. E' certo più facile delegare a dei privati per i prossimi 17 anni la seccatura di gestire i rifiuti piuttosto che governare in prima persona il fenomeno nell'interesse della comunità». 


«In perfetta continuità con la politica regionale dei rifiuti degli ultimi trenta anni, anche in questo caso si è scelta la soluzione più vantaggiosa per i gestori della discarica a scapito degli interessi degli utenti. L'utilizzo prematuro del IV Lotto con rifiuti non stabilizzati ridurrà lo spazio disponibile per i rifiuti trattati dal costruendo impianto che risulterà utilizzabile per un numero minore di anni». 

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Fabrizio Roscio, tra i promotori di Valle Virtuosa, già consigliere regionale e assessore regionale all'Ambiente, esprime alcune considerazioni rispetto alla presa di posizione dell'associazione Valle Virtuosa.

Le considerazione di Fabrizio Roscio:

1) Valle Virtuosa, all'epoca del referendum 2012 era un'associazione apartitica, che aveva la sua forza nella credibilità tecnica e soprattutto negli amministratori locali che aderivano e nei cittadini indipendenti. E oggi cosa ne è rimasto? A parte le innumerevoli proteste contro qualunque scelta del governo di turno (quotazione CVA, referendum costituzionale, infrastrutture ferroviarie, questione lupo, e chi più ne ha più ne metta) l'associazione è oggi politicamente apertamente schierata, e con ranghi ben ridotti, per cui non è ben chiaro in base a quale motivo possa arrogarsi di rappresentare la cosiddetta società civile.

2) cercare di dimostrare tesi preconfezionate, omettendo una parte della realtà, anche storica, non è propriamente un metodo condivisibile, almeno dal mio pdv. Ad esempio non si può pensare che certe contingenze storiche non condizionino le scelte degli amministratori. Inutile dilungarsi sulla situazione critica dello scorso anno, con il rischio concreto e per niente rassicurante di commissariamento, ma una gestione pubblica del servizio integrato dei rifiuti prevede molti attori, i comuni in primis. Questi ultimi vogliono, e possono, intraprendere tale strada? Eppure i risultati conseguiti dagli enti locali nelle raccolte condizionano non poco quello che succede a valle, in capo alla Regione.

3) si critica la scelta della concessione di servizi, ma si dimentica che l'unica alternativa allora praticabile sarebbe stata l'emergenza. Si dimentica che il progetto di partenza (per realizzare impianti a freddo: per stabilizzare la frazione indifferenziata non recuperabile e per massimizzare il recupero di materia) è stato messo a gara europea, mi domando cosa ci sia di più trasparente, e costituiva la base di partenza, per le offerte migliorative da parte di aziende operanti nel settore. Il privato non è libero di fare le tariffe, ma presenta un piano finanziario e la Regione controlla. Peraltro si omette un aspetto tutt'altro che trascurabile: tutti gli investimenti ricadono in tariffa, sia che li faccia un privato, sia che li faccia il pubblico.

4) l'assunto che pubblico sia buono, mentre privato sia male è contestabile e ci sono esempi vicini e lontani, basti pensare ad alcune partecipate, anche valdostane, o alla nota vicenda dell'ASA canavesana.


5) certe affermazioni, o meglio certe allusioni ai limiti della querela, sono gravissime e offensive, perché si tenta di fare passare l'idea che certe scelte siano in odore di affari personali e di corruzione. Sono così gravi che se si hanno elementi certi bisogna andare in procura, altrimenti è più prudente e opportuno stare zitti.





6 marzo 2018

HACKATHON AL VIA ANCHE AD AOSTA - DAL 9 MARZO AD AOSTA

Che cos'è un hackathon? Come funziona? 



primo hackathon valdostano "Aosta Città Connessa' organizzato sabato 17 marzo dall'associazione Aosta Future Camp

In estrema sintesi, un hackathon è una sfida progettuale non-stop (10 ore); una sorta di maratona di idee che ha l'obiettivo di creare sinergie per produrre sul posto progetti concreti e immediatamente realizzabili, in questo caso a benefìcio della città di Aosta. 

Aosta Future Camp, infatti, intende ragionare sull'Aosta che verrà nei prossimi anni attraverso un confronto tra più soggetti. 

La maratona di idee sarà preceduta, venerdì 16 marzo da un hackathon talks, che vedrà la presenza di numerosi ospiti di assoluto livello.

25 febbraio 2018

PER UNA PROPOSTA DI LEGGE NAZIONALE PER LA TUTELA DEL SUOLO E DEL PAESAGGIO

FORUM NAZIONALE
SALVIAMO IL PAESAGGIO
“Una proposta di legge per la tutela del suolo e del paesaggio italiano 

(ora la politica non ha più scuse)”.

GIOVEDÌ 1 MARZO 2018


ORE 11.00
Istituto della Enciclopedia Italiana

Intervengono:
Paolo Berdini, Domenico Finiguerra, Paolo Maddalena, Manlio Lilli, Alessandro Mortarino, Michele Munafò, Riccardo Picciafuoco, Federico Sandrone.
Luca Mercalli e Paolo Pileri (video).

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Il suolo è da intendersi come lo strato superficiale della Terra, la pelle viva del pianeta Terra. 
Una pellicola fragile. Nel suolo vivono miliardi di creature viventi, un quarto della biodiversità di tutto il pianetaIl suolo è una risorsa finita non rinnovabile e per questo preziosa almeno al pari dell’acqua, dell’aria e del sole. 

Secondo l’ISPRA il consumo di suolo in Italia non conosce soste, e continua sistematicamente e ininterrottamente, a ricoprire aree naturali e agricole con asfalto e cemento, fabbricati residenziali e produttivi, centri commerciali, servizi e strade. 
Il suolo consumato è passato dal 2,7% degli anni ’50 al 7,6% stimato per il 2016. In termini assoluti, il consumo di suolo si stima abbia intaccato ormai oltre 23.000 chilometri quadrati del nostro territorio: una superficie pari all'Emilia Romagna. 
Poiché il nostro Paese è per circa il 35% a carattere montuoso, la cementificazione ha eroso le aree di pianura, le più fertili, che rappresentano circa il 23% dell’intera superficie del nostro Paese (quasi un quarto) e un’ampia parte di quel restante 42% di superficie composto di colline di altezza inferiore agli 800 metri.

ISPRA evidenzia inoltre, i costi generati dal consumo di suolo in termini di perdita di servizi ecosistemici (l’approvvigionamento di acqua, cibo e materiali, la regolazione dei cicli naturali, la capacità di resistenza a eventi estremi e variazioni climatiche, il sequestro del carbonio e i servizi culturali e ricreativi), solitamente non contabilizzati. 
In sintesi il dato nazionale evidenzia che la perdita economica di servizi ecosistemici è compresa tra i 538,3 e gli 824,5 milioni di euro l’anno, che si traducono in una perdita per ettaro compresa tra i 36.000 e i 55.000 euro. 

Secondo l’ISTAT nel nostro Paese sono presenti oltre 7 milioni di abitazioni non utilizzate, 700 mila capannoni dismessi, 500 mila negozi definitivamente chiusi, 55 mila immobili confiscati alle mafie. “Vuoti a perdere” che snaturano il paesaggio e le comunità a contorno.

Tutto ciò a fronte di un andamento demografico che indica una crescita debole, tanto è vero che nel triennio 2012-2016 le morti hanno superato le nascite; nel 2017 la popolazione italiana era 60.579.000 persone, circa 86 mila in meno rispetto al 2016, sostanzialmente stabile dal 2014.

Gran parte degli edifici di nuova costruzione oggi in vendita nel nostro Paese sono stati costruiti diversi anni fa e registrano nel 2015 un invenduto pari a 90.500 unità (abitazioni ancora in costruzione e non ancora sul mercato escluse). Nel contempo sono presenti immobili vetusti e quasi inutilizzabili che avrebbero invece bisogno di essere ristrutturati e riqualificati con evidenti benefici sia economici sia di decoro e senza gravare sul suolo libero.

La crisi economico-finanziaria di questi anni ha sedimentato in seno agli istituti bancari una grande quantità d’immobili, pignorati in parte a cittadini “impoveriti” e, in prevalenza, alle imprese del settore impegnate in operazioni edilizie fallite per esubero di offerta. 
Non a caso i principali istituti di credito hanno aperto un filone “real estate” per smaltire un patrimonio in progressiva svalutazione che grava sui loro bilanci. Le principali sofferenze derivano dal comparto costruzioni e immobiliare, con il 41,7% dei prestiti deteriorati: una quota molto importante, che denuncia un’economia sbilanciata, troppo esposta su questo settore. 

Il Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e forestali ci ricorda, inoltre, che il nostro Paese è in grado, oggi, di produrre appena l’80-85% del proprio fabbisogno primario alimentare, contro il 92% del 1991. Significa che se, improvvisamente, non avessimo più la possibilità di importare cibo dall’estero, ben 20 italiani su 100 rimarrebbero a digiuno e che quindi, a causa della perdita di suoli fertili, il nostro Paese oggi non è in grado di garantire ai propri cittadini la sovranità alimentare. Tanto che la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) si è ridotta a circa 12,7 milioni di ettari, mentre nel 1991 era quasi 18 milioni di ettari.

A livello globale la Terra negli ultimi 40 anni ha perso un terzo del suo terreno coltivabile - a causa dell’erosione o dell’inquinamento - con conseguenze definite disastrose in presenza di una domanda di cibo che sale alle stelle: quasi il 33% del terreno mondiale adatto o ad alta produzione di cibo è stato perduto a un tasso che supera di gran lunga il ritmo dei processi naturali in grado di sostituire il suolo consumato.
7.145 sono i comuni italiani (l’88,3 % del totale) interessati da qualche elemento di pericolosità territoriale; tra questi il 20,3 % (1.640 comuni) presentano aree ad elevato (P3) o molto elevato (P4) rischio frana, il 19,9 % (1.607 comuni) presentano aree soggette a pericolosità idraulica (P2) mentre il 43,2 % (3.893 comuni) presentano un mix dei rischi potenziali (P2, P3, P4).

Per queste ragioni il contrasto al consumo di suolo dovrebbe essere considerato una priorità e diventare una delle massime urgenze dell’agenda parlamentare, ma la "Politica" fino ad oggi non è stata neppure in grado di approvare al Senato una "timida" legge per contenere il consumo di suolo agricolo. 

Per questi motivi il Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio (più noto come Forum Salviamo il Paesaggio) - Rete civica nazionale cui aderiscono attualmente oltre 1.000 organizzazioni e molte migliaia di cittadini a livello individuale - ha ritenuto indispensabile elaborare un proprio originale testo normativo, in conformità con i dettami costituzionali, volto a mettere fine al consumo di suolo e non limitarlo al suo semplice “contenimento”, da proporre come riferimento per iniziative parlamentari tese a dotare il nostro Paese di una chiara, inequivocabile, costruttiva normativa a tutela dei suoli ancora liberi, compresi quelli all’interno dell’area urbanizzata, utile a risolvere anche i problemi dell’enorme patrimonio edilizio inutilizzato ed in stato di abbandono. 

Tra l’ottobre 2016 e il gennaio 2017 all’interno del Forum è stato costituito un apposito gruppo di lavoro tecnico-scientifico multidisciplinare, formato da 75 esperti di varie discipline: architetti, urbanisti, docenti universitari, ricercatori, pedologi, geologi, agricoltori, agronomi, tecnici ambientali, giuristi, avvocati, giornalisti/divulgatori, psicanalisti, tecnici di primarie associazioni nazionali, sindacalisti, paesaggisti, biologi ecc.

Il 3 febbraio scorso il testo normativo è stato reso pubblico.

Il Forum Salviamo il Paesaggio invita la società civile e il mondo ambientalista a sostenere e promuovere la trasformazione della proposta normativa in legge. 
Invitiamo anche tutte le forze politiche a valutarlo e indicare la loro condivisione e l'impegno a sostenerlo fin dalle prime ore della prossima legislatura ...