Articolo tratto da La stampa del 6 Aprile 2009.
Gli alberi infelici di Milano
PAOLO PEJRONE
Novantamila alberi non sono uno scherzo: anzi, se piantati sono un bel pezzo di parco della «Mandria». Il Maestro Abbado ha chiesto e ottenuto per tornare a Milano e per far musica, la sua grande musica, novantamila alberi, per la Città e per i suoi cittadini: una vera foresta in cambio di note, tantissime note. Un vero baratto di bellezze.
L’idea è certamente originale, è generosa, è grandiosa. Ma avrà mai la città di Milano una superficie (certamente in tanti pezzi separati) libera o quasi, comunque sufficiente a tenere in vita una valanga botanica di quest’ordine?
Gli alberi sono alberi, con radici, rami, tronchi e foglie, e devono (dovrebbero in questo caso) essere dotati del loro spazio vitale per attecchire, crescere e vivere. Un albero: pioppo, faggio, tiglio, bagolaro, frassino, platano o quercia (tanto per parlare delle più comuni essenze adatte alle terre padane), quando cresciuti, quando adulti, hanno bisogno, contando giusto giusto, poco poco, da 50 a 60 metri quadri di superficie.
E allora? Cinquanta per novantamila, contando giusto giusto, poco poco, fanno tra i 400 e i 500 ettari, non calcolando i prati, anche loro salutari e benefici, non calcolando strade e parcheggi, anche loro necessari e molto utili...
Gli alberi non sono pali da conficcare nella terra e da dimenticare: gli alberi non parlano, non urlano, non si lamentano. Possono essere felici e possono essere infelici. Sta a qualche serio e sapiente esperto consigliare i posti, gli spazi vitali e adatti per dar loro un futuro degno e una vita prospera e lieta e per prevedere le cure essenziali per una vita sana e... vegeta.
Un bosco di alberi infelici, predestinato alle decimazioni, non dà gioia. E diventa, per la sua calcolata ed elucubrata efficienza, uno spazio triste e funebre: gli alberi non sono numeri, sono entità viventi.
L’abitudine antica e demagogica praticata da tanti sindaci durante le campagne elettorali o nei resoconti di fine anno, quella di ridurre alberi a numeri e ad astratte quantità, a me ricorda una terribile epoca fatta di campi e di uomini ridotti a cifre.
Ben vengano le provocazioni, quelle verdi e generose di un’utopia entusiastica e bulimica, ben vengano però il rispetto e l’amore per le piante, che negli anni Duemila soffrono ancora di trattamenti duri e utilitaristici, e spesso sono ridotte a semplici oggetti d’uso (dal legno... all’ombra!).
La vita, il generoso e misterioso processo dell’evoluzione dal seme al grande albero ha bisogno del nostro amore, delle nostre cure e della nostra protezione. I numeri, quelli grandi e quelli piccoli, possono spaventare e produrre effetti opposti: nella loro bizzarra astrazione possono fare più male che bene.
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