All’indomani
della sentenza della Corte costituzionale che dichiara illegittima la
legge regionale che ha recepito il Referendum sui rifiuti, mi
interrogo. Dal punto di vista normativo si è tornati indietro di un
anno, ma da quello politico e direi “democratico” nulla è
cambiato.
Il
Referendum del 18 novembre 2012 si è ormai svolto. Risultato
storico: il primo referendum propositivo vinto in Italia. Ma,
soprattutto, la volontà della popolazione è netta: in Valle i
rifiuti non si trattano a caldo con inceneritori o pirogassificatori.
I nostri rappresentanti politici, lì per attuare la volontà
popolare, non possono che tenerne conto. È però passato un anno e
nessuna azione è stata intrapresa, eccetto il lodevole progetto di
raccolta dell’umido del Comune di Aosta. Anche se come cittadini
possiamo, credo, essere rassicurati dalle dichiarazioni bipartisan di
rispetto del Referendum espresse da tutte le forze politiche.
Non
mi voglio addentrare nella complessità della questione giuridica che
riguarda le potestà legislative di stato e regioni e la differenza
tra tutela della salute e dell’ambiente, ma penso che in senso
sostanziale la nostra legge d’iniziativa popolare sia pienamente
legittima.
È
legittimo che una comunità scelga di trattare i rifiuti a freddo. È
legittimo scegliere forme di gestione che tutelino maggiormente la
salute. Legittimo preferire una gestione d’eccellenza sul modello
di territori come Treviso che raggiunge l’83% di raccolta
differenziata e che applica una tariffa puntuale grazie alla quale il
costo per i cittadini è il più basso d’Italia. È legittimo
perché in sostanza lo dice la legge. Su un piano non solo locale ma
più generale, noto le contraddizioni insite nell’applicazione del
diritto. La legislazione pone chiari obiettivi in materia di rifiuti:
scelta delle migliori opzioni ambientali, priorità della riduzione e
del recupero di materia, valorizzazione della frazione umida, il 65%
minimo di RD. Per contro, questi obiettivi sono troppo spesso
disattesi. È legittimo che in Italia si
incentivino gli inceneritori con i milioni di euro dei certificati
verdi, equiparando l’energia prodotta dall’incenerimento alle
rinnovabili? È legittimo che non si
attuino gli obiettivi del 65% di RD e della separazione della
frazione umida? E’ legittimo che non si attui una politica di
riduzione degli imballaggi e di indirizzo della produzione
industriale nel senso della riciclabilità dei materiali? E’
legittimo che non si incentivi un’economia del riciclo e della
sostenibilità, che creerebbe occupazione e rilancio economico?
Tornando alla sentenza sul Referendum, contesto le argomentazioni che
tacciano la scelta dei valdostani di irrazionalità e persino di
“egoismo”. Ad un certo punto, infatti, la sentenza si riferisce
al “noto detto not in my back-yard”, cioè “non nel mio
cortile”: i Valdostani avrebbero rifiutato un impianto inquinante
“in nome di una protezione più rigorosa
della salute degli abitanti della Regione medesima” pregiudicando
“insieme ad altri interessi di rilievo nazionale, il medesimo
interesse della salute in un ambito territoriale più ampio”. Non
sono d’accordo, perché, ovviamente, se si diffondessero
maggiormente ovunque le buone pratiche e i trattamenti a freddo ci
sarebbe una maggiore diffusione della tutela della salute e una
riduzione dei rifiuti su scala globale. Irrazionale è non attuare
uno sviluppo sostenibile. Egoistici sono alcuni interessi economici
personali che non mirano al bene comune. Le comunità hanno diritto a
agire localmente per migliorare se stesse.
Non
dimentichiamo tra l’altro che i tribunali che si sono pronunciati
prima del Referendum respingendo i ricorsi che volevano impedirne lo
svolgimento (ricorso Anida, comprendente aziende costruttrici di
inceneritori), avevano riconosciuto come prima ratio della
consultazione la “tutela della salute” e avevano giudicato
ammissibile il quesito.
Insomma,
penso che questo Referendum basato sui principi ispiratori della
tutela della salute e sull’adozione delle migliori pratiche
sostenibili “a freddo”, sia assolutamente “legittimo” e
coerente con gli obiettivi legislativi.
Come
cittadini, al di fuori delle logiche partitiche, dobbiamo tenere alta
la partecipazione e far in modo che la nostra diventi una regione
modello nella gestione dei rifiuti e nella green economy e perché
no, adottando appositi atti amministrativi sull’esempio di 200
comuni italiani, la prima Regione a Rifiuti Zero. Ci vuole la volontà
politica e bisogna progettare secondo criteri di competenza e merito!
Anna
Gamerro
Aosta
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Notizie da Trento
Rifiuti, Trento alla ricerca dell'accordo con Bolzano
La nuova giunta provinciale di Trento sarà presto chiamata ad affrontare la questione dei rifiuti residui e della loro destinazione finale. A marzo 2013 è stato stoppato l'inceneritore a Ischia Podetti, cavallo di battaglia per un quindicennio dei governi Dellai. Bisogna quindi trovare destinazione alle 70-75 mila tonnellate di residuo non differenziabile o riciclabile che annualmente producono i trentini. Le discariche in uso, al massimo nel 2018, saranno esaurite.
Il presidente Pacher al momento del suo insediamento parlò di smaltimento del residuo in centrali termiche alternative. Si ipotizzò quelle venete di Sallonze e Fusine, o addirittura il cementificio Italcementi delle Sarche, visto le possibilità offerte dal decreto del ministro Clini.
La questione ad oggi resta insoluta.
A pochi chilometri da Trento, nel frattempo, a Bolzano Sud, è entrato in funzione il nuovo inceneritore, che ha una potenzialità di smaltimento di 135.000 tonnellate di rifiuti annui, mentre la produzione attuale di residuo in Alto Adige non supera le 100.000 tonnellate, ed è destinata a ridursi ulteriormente con l'entrata un funzione del nuovo sistema di raccolta avviato nella città. Per Bolzano è un problema serio, perché il nuovo inceneritore «ha bisogno» di quella quantità di rifiuti per funzionare a pieno regime e coprire i costi di gestione.
Durnwalder venti giorni fa ha annunciato che la Provincia è «a caccia di rifiuti» per poter sfruttare al 100% le potenzialità dell'inceneritore.
Insomma, Trento è alla ricerca di dove poter bruciare i rifiuti residui, e Bolzano è alla ricerca di rifiuti da bruciare.
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Sembrerebbe necessario un accordo fra le due province per garantire pro futuro una amministrazione comune dei residui.
E invece niente. Ad oggi non s'è fatto nulla. Non solo non c'è un accordo, che parrebbe lo sbocco logico, naturale, sensato, razionale. Ma non c'è nemmeno l'intenzione.
È vero che in passato Bolzano ha sempre messo i bastoni fra le ruote ad un'intesa regionale e - come per l'aeroporto, l'università, il forno crematorio, i musei, eccetera eccetera - ciascuno è sempre andato per conto suo, quasi in una gara a chi facesse l'opera più grande e il dispetto più irritante all'altro.
I tempi non sono più quelli delle piramidi faraoniche con cui ciascun governatore voleva farsi ricordare. Ora - se non altro per i costi e l'ingente potatura ai bilanci provinciali - la collaborazione risulta una via obbligata.
Per Trento il problema è ancor più stringente. La normativa attuale, sia la direttiva europea del 2008 che il decreto legislativo del 2006, impongono i principi di autosufficienza e prossimità nello smaltimento dei rifiuti (secondo l'assioma: «chi inquina, paga»), incalzando anche sui tempi di adeguamento nel rendersi autosufficienti.
Ma la vera e propria bomba ad orologeria che grava sulla testa dei trentini è la clausola con cui finora sono state firmate le convenzioni di esportazione dei rifiuti fuori dal territorio provinciale. Ossia la reciprocità in caso di bisogno, con l'impegno a riprendersi i rifiuti riportandoli in Trentino.
Questo vuol dire che dei rifiuti finora «esportati» (per esempio in Lombardia) pagando denaro sonante, potrebbero rientrare in caso di necessità della regione ospitante.
L'impegno firmato prevede di dover riprendere quantità analoghe di rifiuti se la Lombardia o le altre regioni destinatarie dei nostri residui lo richiedessero...
...
fonte: ladige.it
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Notizie da Trento
Rifiuti, Trento alla ricerca dell'accordo con Bolzano
La nuova giunta provinciale di Trento sarà presto chiamata ad affrontare la questione dei rifiuti residui e della loro destinazione finale. A marzo 2013 è stato stoppato l'inceneritore a Ischia Podetti, cavallo di battaglia per un quindicennio dei governi Dellai. Bisogna quindi trovare destinazione alle 70-75 mila tonnellate di residuo non differenziabile o riciclabile che annualmente producono i trentini. Le discariche in uso, al massimo nel 2018, saranno esaurite.
Il presidente Pacher al momento del suo insediamento parlò di smaltimento del residuo in centrali termiche alternative. Si ipotizzò quelle venete di Sallonze e Fusine, o addirittura il cementificio Italcementi delle Sarche, visto le possibilità offerte dal decreto del ministro Clini.
La questione ad oggi resta insoluta.
A pochi chilometri da Trento, nel frattempo, a Bolzano Sud, è entrato in funzione il nuovo inceneritore, che ha una potenzialità di smaltimento di 135.000 tonnellate di rifiuti annui, mentre la produzione attuale di residuo in Alto Adige non supera le 100.000 tonnellate, ed è destinata a ridursi ulteriormente con l'entrata un funzione del nuovo sistema di raccolta avviato nella città. Per Bolzano è un problema serio, perché il nuovo inceneritore «ha bisogno» di quella quantità di rifiuti per funzionare a pieno regime e coprire i costi di gestione.
Durnwalder venti giorni fa ha annunciato che la Provincia è «a caccia di rifiuti» per poter sfruttare al 100% le potenzialità dell'inceneritore.
Insomma, Trento è alla ricerca di dove poter bruciare i rifiuti residui, e Bolzano è alla ricerca di rifiuti da bruciare.
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Sembrerebbe necessario un accordo fra le due province per garantire pro futuro una amministrazione comune dei residui.
E invece niente. Ad oggi non s'è fatto nulla. Non solo non c'è un accordo, che parrebbe lo sbocco logico, naturale, sensato, razionale. Ma non c'è nemmeno l'intenzione.
È vero che in passato Bolzano ha sempre messo i bastoni fra le ruote ad un'intesa regionale e - come per l'aeroporto, l'università, il forno crematorio, i musei, eccetera eccetera - ciascuno è sempre andato per conto suo, quasi in una gara a chi facesse l'opera più grande e il dispetto più irritante all'altro.
I tempi non sono più quelli delle piramidi faraoniche con cui ciascun governatore voleva farsi ricordare. Ora - se non altro per i costi e l'ingente potatura ai bilanci provinciali - la collaborazione risulta una via obbligata.
Per Trento il problema è ancor più stringente. La normativa attuale, sia la direttiva europea del 2008 che il decreto legislativo del 2006, impongono i principi di autosufficienza e prossimità nello smaltimento dei rifiuti (secondo l'assioma: «chi inquina, paga»), incalzando anche sui tempi di adeguamento nel rendersi autosufficienti.
Ma la vera e propria bomba ad orologeria che grava sulla testa dei trentini è la clausola con cui finora sono state firmate le convenzioni di esportazione dei rifiuti fuori dal territorio provinciale. Ossia la reciprocità in caso di bisogno, con l'impegno a riprendersi i rifiuti riportandoli in Trentino.
Questo vuol dire che dei rifiuti finora «esportati» (per esempio in Lombardia) pagando denaro sonante, potrebbero rientrare in caso di necessità della regione ospitante.
L'impegno firmato prevede di dover riprendere quantità analoghe di rifiuti se la Lombardia o le altre regioni destinatarie dei nostri residui lo richiedessero...
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fonte: ladige.it