29 luglio 2009

FARE QUALITA' IN MODO SOSTENIBILE




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L'angelo degli alberi

Si riconosceva subito. L’angelo. In mezzo a diversi, preoccupanti mortali, all’uscita di Palazzo Marino, qualche tempo fa. Quella sua bella faccia assoluta che esprimeva, ma non ostentava cultura, gentilezza, talento, umanità pareva indossare il tenue sorriso di chi non è veramente a proprio agio e simula educata alleanza con «temperamenti» troppo lontani dalla sua reale essenza. Sembrava piuttosto un prigioniero contornato da gendarmi. I politici. Chissà di che razza sono? Non certamente della sua. L’angelo ce l’aveva fatta. Era riuscito, per tornare alla Scala, a farsi dare, al posto del compenso in denaro, novantamila alberi da piantare in tutta Milano, la sua città, la città dove è nato. Ma, forse, gli angeli non nascono. Esistono e basta. Lui, poi, è un angelo speciale, di quelli che lasciano dietro di sé una scia incancellabile, una armonia di modi di essere. Nei suoi occhi leggi l’abitudine alla selfseverità, alla leggerezza, alla cautela, al rispetto. L’angelo sembra voler nascondere la naturale attitudine al comando, alla leadership. Alla direzione, devo dire, visto che sto parlando di Claudio Abbado.

Mi era molto piaciuta quella sua scelta. Gli alberi al posto dei denari. E aveva aumentato quella che sembrava la inaumentabile ammirazione che già nutrivo per lui. Da sempre. E non mi sono stupita quando mi hanno messo al corrente dello «scambio».

Ero proprio felice. Non potevo essermi sbagliata. L’angelo era proprio un angelo di quelli che non si manifestano se non in rare, fortunate occasioni. Dirigerà l’Ottava Sinfonia di Mahler. Un altro angelo che amo infinitamente. Un angelo tormentato che esprimeva con la sua musica, forse meglio di tutti, i suoi stati d’animo, i suoi tormenti, quasi le sue condizioni di salute. Era molto malato di cuore e lo sapeva.

Quella sera io saro là, in un angolino, alla Scala, per godermi questa unione divina. E mi porterò molti Kleenex, perché sono più che sicura che mi commuoverò. Devo ricordarmi, da qui ad allora, di fare una bella scorta di fazzolettini di carta perché li ho finiti tutti quando ho letto che tutte le «piante Abbado», le stesse che lui aveva scelto decidendo anche dove dovevano essere messe a dimora, dalla periferia al centro, da Chiaravalle a via Dante a via Orefici, stanno già morendo. Per incuria. Muoiono di sete. E con loro muore un’altra volta la speranza che questo Paese abbia rispetto per qualcosa.


Mina

tratto da la stampa del 9/8/2009

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